DI GIACOMO LEOPERADI
è la penultima lirica di Giacomo Leopardi, scritta nella primavera del 1836 a Torre del Greco nella villa Ferrigni e pubblicata postuma nell'edizione dei Canti nel 1845.
E' una canzone libera di sette strofe di endecasillabi e settenari, dove ogni strofa viene chiusa da un endecasillabo, con qualche rima nel mezzo e in fine di verso. Dal punto di vista tecnico, la canzone leopardiana diviene qui un poemetto in versi liberi costruito con numerosi enjambements.
E' una canzone libera di sette strofe di endecasillabi e settenari, dove ogni strofa viene chiusa da un endecasillabo, con qualche rima nel mezzo e in fine di verso. Dal punto di vista tecnico, la canzone leopardiana diviene qui un poemetto in versi liberi costruito con numerosi enjambements.
La funzione di questa struttura metrica è chiara: forzare la lettura creando difficoltà al lettore, così da imitare l'asprezza della natura.
LA LIRICA TESTIMONIA L'ULTIMA FASE DELLA FILOSOFIA LEOPARDIANA: IL TITANISMO
IL TERMINE DERIVA DAI TITANI DEL MITO GRECO, DIVINITA' CHE SCACCIATE DAGLI OLIMPICI, PROVANO A RICONQUISTARE L'OLIMPO MA VENGONO SCONFITTE
I TITANI DIVENNERO PER I ROMANTICI LA PERSONIFICAZIONE DELL'EROE TRAGICO ROMANTICO,
PRONTO A COMBATTERE PER QUALSIASI IDEALE, QUALSIASI CAUSA, ANCHE SE PERSA
L'UOMO DELLE IMPRESE IMPOSSIBILI,
DAGLI SLANCI IDEALI ASSOLUTI E TRAVOLGENTI,
LA LOTTA, IN QUESTO CASO, SI CONCENTRA SUL "SECOL SUPERBO E SCIOCCO"
ESALTA LA DIVINITA' E LA FELICITA' DELLA CONDIZIONE UMANA CHE ESSA ASSICURA
L'ETA' IN CUI VIVE CHE, SPINTA DAL ROMANTICISMO
L'I o poetico è, come un titano romantico, consapevole di non poter vincere,
Malgrado l'esito sia ovviamente negativo:
ma ha la consapevolezza di avere un dovere morale di testimonianza
ben ch'io sappia che obblio
preme chi troppo all'età propria increbbe"
La celebre (ed amaramente ironica) espressione
è contenuta nel verso 51 è una citazione, ovviamente polemica, dell'opera del cugino Terenzio Mamiani.
magnifiche sorti e progressive
La lirica si apre come, nelle migliori poesie di Leopardi, con un paesaggio, quello desolato del Vesuvio,
Da subito, la Ginestra, compagnia, alter simbol dell'Io poetico, è legata alla solitudine, ma è una solitudine volontaria (contenta dei deserti)
1. Qui su l'arida schiena
2. del formidabil monte
3. sterminator Vesevo,
4. la qual null'altro allegra arbor né fiore,
5. tuoi cespi solitari intorno spargi,
6. odorata ginestra,
7. contenta dei deserti.
La ginestra riporta alla mente del poeta i paesaggi che circondano Roma, ormai decaduta,
La ginestra qui, dunque, ha il valore di "memento mori", di ricordo della caducità delle cose umane (un tempo, perduto impero)
7. (...) Anco ti vidi
8. de' tuoi steli abbellir l'erme contrade
9. che cingon la cittade
10. la qual fu donna de' mortali un tempo,
11. e del perduto impero
12. par che col grave e taciturno aspetto
13. faccian fede e ricordo al passeggero.
La ginestra è simbolo della desolazione e della sofferenza,
Ma è una scelta ancora una volta volontaria, la ginestra-Io poetico ricerca i luoghi solitari e abbandonati dagli uomini (tristi /lochi e dal mondo abbandonati amante)
1. Or ti riveggo in questo suol, di tristi
2. lochi e dal mondo abbandonati amante,
3. e d'afflitte fortune ognor compagna.